Luigi Marchesi
(Roccabianca, 1825 – Parma, 1862)
Interno del sotterraneo del Duomo di Parma
(1854 circa, olio su tavola)
La piccola tavoletta, eseguita da Luigi Marchesi nel 1854, raffigura uno scorcio dell’interno della cripta del Duomo di Parma. Nel XIX secolo, questo ambiente divenne uno dei temi favoriti dai vedutisti di Parma.
Già la duchessa Maria Luigia, amante della pittura di paesaggio, durante il suo governo, aveva promosso il genere, istituendo, nell’Accademia di Belle Arti parmense, la Scuola di Paesaggio; da quel momento gli artisti cominciarono a produrre piccole vedute, con scorci talvolta inusuali di interni ed esterni, che oggi ci permettono di scoprire angoli della città profondamente mutati nel corso del tempo. Gli artisti si dedicarono ad inquadrature curiose e non convenzionali, capaci di conciliare il gusto per il dettaglio e per i particolari con una minuta descrizione documentaria, quasi a voler competere con la nascente fotografia.
Ad affascinare gli “internisti” parmensi furono gli effetti di luce laterale tipici di un ambiente basso e angusto come quello di una cripta, capaci di interrompere la profonda oscurità e di riflettersi sui preziosi marmi antichi delle colonne, sui paramenti d’altare e sugli arredi lignei usurati dal tempo.
Ed è attraverso la prospettiva e la rappresentazione della luce che Luigi Marchesi, identificabile nel personaggio maschile sulla sinistra del dipinto, raggiunse livelli che trovano pochi confronti nella pittura di interni del periodo. Formatosi presso la locale Accademia di Belle Arti sotto gli insegnamenti di Giuseppe Boccaccio, da subito si specializzò nella poetica degli interni che stava sviluppandosi proprio in quegli anni, soprattutto a Milano. Vincendo il Gran Concorso di Paese, ottenne dal Governo di Carlo IV di Borbone, un soggiorno di perfezionamento a Roma dove, tra il 1851 e il 1852, potè affinarsi nella pittura di veduta; Palazzo Bossi Bocchi conserva una bellissima veduta della Piazza del Pantheon che il pittore realizzò durante il suo soggiorno romano. Tornato a Parma, a soli ventisette anni sostituì il suo maestro all’Accademia dove rimase ad insegnare per dieci anni, formando, a sua volta, una nuova generazione di paesaggisti e scenografi.
Cantore di chiese, sagrestie, chiostri e cortili parmensi ben presto si distinse per le inusuali prospettive, per gli interni dalle atmosfere sospese, le penombre, i suoi tipici personaggi, spesso calati in una dimensione di mistero, restituendoci mirabilmente l’atmosfera ottocentesca della città. A dispetto della morte precoce raggiunse l’affermazione nazionale e trovò numerosi riscontri ben oltre i confini cittadini partecipando a numerose mostre d’arte a Firenze, Torino e Milano.
La data che compare nel retro, 1854, riconduce l’opera alla produzione matura dell’artista, quando lo studio cromatico e dei chiari scuri raggiunse i massimi livelli.
Immaginiamo di addentrarci nella Cripta del Duomo di Parma scendendo la scalinata che dalla navata laterale destra conduce ai sotterranei. Una luce intensa che filtra attraverso il finestrone, al lato dell’altare dedicato a Sant’Agapito, illumina la parte centrale del dipinto che diventa il fulcro della rappresentazione.
Il finestrone realizzato nel Settecentesco aveva sostituito le tre finestrelle originali, quasi feritorie, che all’origine illuminavano questo ambiente; la poca luce che facevano entrare, aveva lo scopo di indurre la preghiera e il raccoglimento del fedele.
Nella seconda metà dell’Ottocento, i costumi, e quindi anche il rapporto con il sacro, sono profondamente cambiati.
Rischiarate dal riverbero troviamo un gruppo di persone, composto per lo più da donne, assorte in preghiera davanti alla Cappella del Santo, mentre un giovane prete sta officiando messa.
I personaggi rappresentati appartengono alla famiglia del Marchese Gian Francesco Pallavicino. Nel retro del dipinto l’iscrizione ne documenta l’esecuzione: “Quadro di Luigi Marchesi fatto nel 1854 per il Marchese Gian Francesco Pallavicino di Parma…”. La casata dei Pallavicino ha origini antichissime. In epoca longobarda formavano con i Marchesi Malaspina, i Marchesi di Massa e i Marchesi d’Este un’unica famiglia detta “Obertenga”, dal nome del loro comune capostipite Oberto (945-975). In un secondo tempo i Marchesi Pallavicino fondarono il proprio Stato sul vasto territorio compreso tra il fiume Po e l’Appennino e la cui capitale era Busseto.
Il committente marchese Gian Francesco, fu Ciamberlano di Maria Luigia d’Austria e di Carlo di Borbone, gentiluomo di camera di Maria Luisa di Borbone e commendatore dell’Ordine Costantiniano. nel 1840 fu nominato di Consigliere di Stato e nel 1854, all’epoca del dipinto, per volontà della reggente Luisa Maria di Berry, fu eletto direttore e Presidente del Supremo Magistero degli Studi, dell’appena ricostituita Regia Università di Parma.
Gli astanti, in ginocchio e avvolti da pesanti mantelli, rivolgono le loro preghiere a Sant’Agapito, martire quindicenne le cui ossa sono conservate in un reliquiario collocato in Duomo nella metà del XVI secolo. In questo frangente, tra il 1564 e il 1578, lo scultore Giambattista Barbieri, noto per aver collaborato con Parmigianino, realizzò il ciborio, la struttura architettonica che sovrasta l’altare: una nicchia fiancheggiata da una coppia di colonne ioniche al cui interno scolpì e collocò la statua del santo che sormonta l’urna per un compenso di 175 scudi d’oro. L’aspetto dell’insieme che vediamo raffigurato nel dipinto, si deve ad un successivo intervento realizzato nel 1718. Sul gradino dell’altare sono ben visibili i paramenti sacri: sei candelieri intramezzati da altrettanti vasi porta palme, mentre sulla mensa sono collocate due cartagloria e il leggio con il messale.
L’ambiente della cripta è raffigurato con molta precisione; le volte a crociera sono sostenute una fitta selva di colonne in marmi preziosi, che variano dal greco, al giallo di Verona, al pantelico, alla lava e alla lumachella, probabili spoglie della città romana. Mentre i capitelli corinzi a foglie di acanto e le basi sono stati scolpiti appositamente per ciascuna colonna e risalgono alla fine dell’XI secolo.
Marchesi accentua il senso sacrale e intimo del luogo attraverso un forte controluce che via via diventa penombra, contrapponendolo ad un unico raggio di luce radente che simboleggia la via della salvezza.
A fianco della cappella di Sant’Agapito, nascosta nella penombra nel dipinto possiamo notare una figura femminile inginocchiata in preghiera dinnanzi all’altare di San Bernardo degli Uberti, vescovo di Parma dal 1106 al 1133, che nel 1548 venne proclamato patrono della diocesi e il suo corpo fu trasferito in cripta all’interno dell’altare all’uopo realizzato.
Quelle di Luigi Marchesi sono “stupende pagine d’arte e, insieme, di costume, spesso documenti sopravvissuti a ricordarci monumenti oggi scomparsi o deturpati irrimediabilmente” è scritto nell’introduzione alla mostra tenutasi a Palazzo Bossi Bocchi nel 1998.
Scheda realizzata in collaborazione con Artificio Società Cooperativa