Claudio Spattini e la memoria del Novecento
22 Aprile 2012 - 10 Giugno 2012
Claudio Spattini – modenese di origine ma ben presto parmigiano di adozione – è stato infatti tra le figure più significative del getto artistico parmense, rinnovando, tela dopo tela, una originale ed attenta cifra espressiva.
La mostra a Palazzo Bossi Bocchi, a meno di due anni dalla sua scomparsa, è un doveroso omaggio sia all’uomo – la cui attività di insegnante è ben viva nella gratitudine di centinaia di allievi – sia al pittore, con la volontà di contribuire alla definizione di un preciso percorso artistico locale del XX secolo.
Le opere esposte – a cura di Gloria Bianchino – possono fare capire meglio, oggi, l’importanza di un artista che inizia negli anni ’30 a Bologna dialogando con Giorgio Morandi e con Virgilio Guidi per poi prendere altre strade scoprendo la tensione vibrante della pittura della Scuola Romana, e sopra tutto quella di Mario Mafai.
Claudio Spattini racconta sempre, racconta nelle sue nature morte come nei suoi ritratti, racconta nei paesaggi e sceglie con consapevolezza i suoi modelli, un certo Picasso del periodo Blu e Rosa, l’invenzione della natura morta di Matisse, sopra tutto lo spazio moltiplicato di Paul Cézanne. In un momento in cui la pittura in Italia è divisa fra realisti e astratti Spattini sceglie una via diversa che rappresenta il vero ma che è anche attenta alle nuove strade aperte dall’Ecole de Paris. Dialoga anche con Guttuso e con Pizzinato, che dipinge a Parma il Palazzo della Provincia, ma sempre con una sensibilità e attenzione diversa al tempo del dipingere che è una delle caratteristiche della sua arte: sguardi lunghi sul paesaggio o sulle nature morte, sguardi che ritornano negli anni e che sono come meditazione ricorrente su un tema, un tema che si ritrova da un decennio all’altro.
Spattini non vuole seguire le mode ma mantenere una propria grafia pittorica e una attenzione costante all’arte del “Novecento”: per questo del maestro Morandi, Spattini ha conservato un solo elemento, la pennellata morbida e densa che si stratifica sulla tela.
I dipinti di Spattini sono racconti nel tempo, hanno una presenza costante e vanno visti a lungo, vanno meditati, e la ripetizione di alcuni temi non deve ingannare: accostandosi a questi quadri si scoprono variazioni, cambiamenti di luce, di taglio, e quindi di umore e di tensione emotiva dell’artista. Una ricerca dove si può trovare, riletta e meditata, la storia del nostro paese.
Dipingere per una vita coltivando una passione intensa per l’arte è sembrato a Spattini, e sembra adesso a chi lo guarda, un’esperienza molto più significativa di un aggiornamento continuo alle mode. Essere se stesso nel tempo non ha mai voluto dire per l’artista essere insensibile alle ricerche ad esempio degli anni ’50 e inizi ‘60, quelle del Naturalismo, quelle dell’Informale, ma esserne consapevole e riprenderle con intelligenza all’interno della propria storia.
Ecco dunque una mostra che invita – con spirito di partecipe attenzione – a scoprire il lavoro di un protagonista di un’arte “impegnata” perché sempre meditazione sul “vero”.
ALLESTIMENTO DELLA MOSTRA